ojRevista Opinião JurídicaR. Opin. Jur.1806-04202447-6641Centro Universitário Christus10.12662/2447-6641oj.v17i26.p109-137.2019ArtigosDiritti fondamentali e diritti umani: il contributo della teoria dei
sistemi sociali. Prospettive di indagineDireitos fundamentais e direitos humanos: a contribuição da teoria
dos sistemas sociais - perspectivas de investigaçãoFundamental rights and human rights: the contribution of social
systems theory. Investigation prospectsDerechos fundamentales y derechos humanos: la contribución de la
teoría de los sistemas sociales. Perspectivas de investigación0000-0001-6345-4147LimaFernando Rister de Sousa*0000-0002-6675-6594FincoMatteo**Universidade Presbiteriana
MackenzieFaculdade de DireitoSão Paulofrsl.sociologyoflaw@gmail.comBrasilPhd in Diritto, PUC-São Paulo. Professore
presso la Faculdade de Direito da Universidade Presbiteriana Mackenzie
(FDIR-UPM), São Paulo. E-mail: <frsl.sociologyoflaw@gmail.com>.
http://orcid.org/0000-0001-6345-4147Università degli Studi di Maceratafincomatteo@gmail.comItáliaPhd in Social Sciences, Università degli Studi
di Macerata. E-mail: <fincomatteo@gmail.com>.
http://orcid.org/0000-0002-6675-6594
Sep-Dec201917261091372302201923052019Este é um artigo publicado em acesso aberto (Open Access) sob a
licença Creative Commons Attribution Non-Commercial que permite uso,
distribuição e reprodução não-comercial irrestrito em qualquer meio, desde
que o trabalho original seja devidamente citado.RIASSUNTO
Il presente articolo analizza la natura e la funzione dei diritti fondamentali e
umani dalla prospettiva della teoria dei sistemi sociali, sviluppata dal
sociologo Niklas Luhmann alla fine del XX secolo. A partire dal contributo
dell’autore tedesco e di altri studiosi, verrà messo in evidenza il potenziale
che la teoria detiene riguardo al tema in oggetto, avanzando proposte su
prospettive di ricerca future. L’ipotesi è che una teoria secondo cui la società
è fatta di comunicazione, e non di esseri umani, può aprire spazi di riflessione
inediti e mettere il luce la funzione latente dei diritti fondamentali e umani:
oltre che valori di ispirazione umanistica, essi rappresenterebbero lo strumento
attraverso cui la società stessa costituisce gli esseri umani nella triplice
veste di individui, soggetti, persone.
RESUMO
Este artigo trata da questão dos direitos fundamentais e humanos na perspectiva
da teoria dos sistemas sociais, tal como desenvolvida pelo sociólogo Niklas
Luhmann no final do século XX. A partir da contribuição do autor alemão e de
outros estudiosos, será destacado o potencial da teoria para tratar do tema,
apresentando propostas inovadoras sobre futuras perspectivas de pesquisa, isto
é, novas formas de observar a temática. A hipótese é que uma teoria na qual a
sociedade não é “feita” de seres humanos, mas de comunicação, pode abrir novos
espaços de reflexão, destacando a função latente dos direitos fundamentais e
humanos: além de serem valores de inspiração humanista, eles representariam uma
ferramenta através da qual a própria sociedade forma os seres humanos como
indivíduos, sujeitos, pessoas. Apresenta-se, desta maneira, uma nova perspectiva
de observação a respeito da função dos direitos fundamentais e humanos, cujas
consequências são distintas das observações mais tradicionais sobre o tema.
ABSTRACT
The topic of this article is fundamental and human rights from the perspective of
the Social Systems Theory, a theory developed by the sociologist Niklas Luhmann
at the end of the Twentieth century. Starting from this author and other
scholars, the potential of this theory will be highlighted, and consequently
will be proposed future research perspectives. The hypothesis is that this
theory - that conceives society as made by communication (and not by human
beings) - can open up new spaces for reflection, highlighting the latent
function of fundamental and human rights: as well as values of humanistic
inspiration, they could represent an instrument through which society itself
“builds” human beings as individuals, subjects, people.
RESUMEN
Este artículo aborda el tema de los derechos humanos y fundamentales desde la
perspectiva de la teoría de los sistemas sociales, desarrollada por el sociólogo
Niklas Luhmann a fines del siglo XX. A partir de la contribución del autor
alemán y la de otros académicos, se destacará dicho potencial teórico en
relación a los DDHH y fundamentales, y se presentarán posibles líneas de
investigación futuras. La hipótesis es que una teoría según la cual la sociedad
no está “hecha” de seres humanos sino, más bien, de comunicación, puede abrir
nuevos espacios para la reflexión inédita y arrojar luz sobre la función latente
de los derechos fundamentales y humanos: además de ser valores de inspiración
humanista, ellos representan una herramienta a través de la cual la propia
sociedad forma a los seres humanos como individuos, sujetos, personas.
Parole chiave:Diritti fondamentaliDiritti umaniNiklas LuhmannTeoria dei sistemi socialiPalavras-chave:Direitos fundamentaisDireitos humanosNiklas LuhmannTeoria dos sistemas sociaisKeywords:Fundamental RightsHuman RightsNiklas LuhmannSocial Systems TheoryPalabras clave:Derechos fundamentalesDerechos humanosNiklas LuhmannTeoría de los sistemas sociales1 INTRODUZIONE
La sociologia finora non si è occupata molto dei diritti umani e di quelli
fondamentali. Tentativi in questo senso esistono, ma si tratta per lo più di lavori
riguardanti il rapporto tra specifici diritti e questioni sociali e/o fenomeni
culturali ad essi connessi (ad esempio sui “diritti umani delle minoranze etniche”);
tentativi che solitamente fanno capo a una branca specifica della sociologia, cioè
la sociologia dei diritto. È naturale che sia così, tuttavia il contributo di altri
ambiti di ricerca potrebbe contribuire ad ampliare lo sguardo, a prospettare nuove
ipotesi e collegamenti inediti, a rendere l’approccio al tema più complesso e
diversificato. Infatti finora poco si è fatto tanto sul versante di una specifica
sociologia dei diritti umani e dei diritti fondamentali (mentre non mancano le
applicazioni della sociologia a pressoché qualsiasi ambito del sociale e della
cultura1) quanto su quello di una teoria
sociologica degli stessi.
Questo contributo vuole iniziare a colmare tale lacuna, proponendo un “inquadramento”
dei diritti umani e fondamentali all’interno della teoria dei sistemi sociali di
Niklas Luhmann.
Il punto di partenza è l’idea che, da un punto di vista sociologico (dunque
essenzialmente diverso da quello di uno studioso del diritto), parlare di diritti
fondamentali e diritti umani2 significa in
primo luogo affrontare la relazione esistente fra tali diritti e la
società nel suo complesso. Non basta identificare tali diritti
(illustrando o immaginando cataloghi), classificarli per tipologie, ricostruirne la
storia: tali obiettivi pertengono agli studiosi del diritto. I sociologi invece - in
particolare quelli che si occupano di teoria - possono tentare di mettere in luce i
significati (livello semantico) e le funzioni manifeste e latenti (livello
strutturale) che tali diritti assumono nella società contemporanea.
In questa direzione va il contributo di Luhmann, che fornisce una visione dei diritti
prettamente sociologica, scevra da retorica e idealismo, con lo scopo primario di
identificarne la funzione, cioè la prestazione che essi offrono
alla società moderna. Alcune considerazioni preliminari aiuteranno a liberare il
campo da dubbi e possibili equivoci.
Anzitutto, quando si parla di diritti umani o di diritti fondamentali è scontato che
si stiano indicando condizioni che, in larga parte, ancora non sono state
realizzate: i diritti, anche quando riconosciuti e affermati, difficilmente vengono
garantiti in maniera ampia ed effettiva. Se è vero che vi è sempre uno scarto tra un
qualunque diritto affermato e la sua tutela concreta, questo vale ancor di più per i
diritti umani e fondamentali. La ragione è evidente: tutti i diritti, prima ancora
di essere formulati attraverso norme scritte, sono anzitutto
valori, cioè riferimenti di senso collettivamente condivisi,
caratterizzati da una determinata tensione morale. Il loro contenuto può rimanere
più o meno stabile, ma resta sempre soggetto a una dinamica evolutiva che dipende
anzitutto dai mutamenti che avvengono a livello della struttura sociale. Il rapporto
tra semantica e struttura è infatti circolare3: la semantica (i contenuti di senso, espressi
nei testi e nei “discorsi” in senso lato) descrive la società e i mutamenti che la
riguardano (cioè la struttura). Facendo ciò contribuisce anche alla definizione e
determinazione della struttura stessa, in quanto le forme in cui la rappresenta
(oltre a servire da orientamento agli attori sociali, le cui azioni successive
contribuiranno al mutamento) condizioneranno le descrizioni successive.
È chiaro inoltre che, proprio a causa della loro connotazione (sono
fondamentali e/o umani, dunque essenziali,
basici, ecc…), tali diritti possono dare indicazioni rilevanti rispetto alla
questione sociologica per eccellenza, ovvero il rapporto individuo/società: cosa
essi rivelano - esplicitamente o implicitamente - riguardo la concezione socialmente
diffusa dell’essere umano? Che significa dunque parlare di “natura umana” e quale
valore viene ad essa attribuito? Soprattutto: quali spazi di azione (“libertà”) sono
concessi agli individui (cioè in quale forma e fino a che punto vengono considerati
leciti, opportuni, “sostenibili” i condizionamenti esercitati su loro dalla
società)?
Ricapitolando: osservare i diritti umani e i diritti fondamentali da un punto di
vista sociologico significa non solo analizzare i sistemi giuridici e i loro effetti
a livello sociale, ma anche e soprattutto indagare il rapporto individuo/società, la
concezione dell’individualità e della sua “libertà” (la “semantica del soggetto”),
nonché i valori più essenziali (che spesso coincidono con i
diritti, pur non essendo la stessa cosa) promossi nel contesto sociale.
Luhmann (1965) si è occupato di diritti
fondamentali in uno dei suoi primi lavori, Grundrechte als Institution: Ein
Beitrag zur politischen Soziologie (I diritti fondamentali come
istituzione, 1965). In seguito l’autore non ha più affrontato il tema
direttamente, trattando invece di diritti umani, anche se non in maniera frequente,
approfondita ed estesa. Diversi riferimenti al tema sono presenti in alcuni dei suoi
scritti più recenti: in particolare in Das Recht der Gesellschaft
(Il diritto della società) (LUHMANN, 1993, 2012) e in
Die Gesellschaft der Gesellschaft (La società della
società, summa del suo trentennale percorso di ricerca all’università
di Bielefeld) (LUHMANN, 1997b). All’interno
della produzione luhmanniana è inoltre fondamentale prestare attenzione anche a quei
lavori incentrati sull’essere umano inteso, a seconda dei contesti, come
individuo, soggetto e persona. Tali termini,
ognuno dei quali ha una storia specifica all’interno del pensiero occidentale (o,
come dice Luhmann, vetero-europeo) formano un complesso semantico che viene
declinato nei contesti più diversi del sociale e che, in ambito giuridico,
caratterizza il diritto moderno positivizzato (cioè non più subordinato alla morale
e alla religione) e fortemente incentrato sui diritti soggettivi (quelli
dell’individuo libero, responsabile di se stesso, la cui esistenza è caratterizzata
da una dignità intrinseca alla “persona umana”, all’interno di uno stato la cui
sovranità è limitata).
Chiariti gli obiettivi di questo lavoro e il contesto teorico di riferimento,
elenchiamo brevemente i passaggi in cui la trattazione andrà a svilupparsi.
Partiremo dal concetto di dignità: si tratta di un’idea caratteristica del pensiero
occidentale, che rappresenta uno snodo ineludibile e una premessa necessaria quando
si tratta di diritti fondamentali e umani. Osserveremo poi il diritto inteso come
sottosistema della società, contraddistinto da una funzione specifica, e al cui
interno vanno affermandosi i diritti soggettivi. Per comprendere l’importanza di
questo passaggio, occorrerà esaminare come la teoria stessa inquadra gli esseri
umani (la triade individuo-soggetto-persona). Tutto ciò rimanda all’analisi della
funzione dei diritti fondamentali, intesi come istituzioni. Diritti umani e norme
indispensabili - insieme al problema dell’esclusione - rappresentano le tappe
successive del nostro percorso: dopo la rassegna e l’analisi del lavoro di Luhmann,
si vedranno i contributi di altri autori (in particolare R. De Giorgi e M. Neves)
che hanno delineato alcuni problemi essenziali del sistema giuridico globale
contemporaneo, proponendone interpretazioni originali e gravide di riflessioni.
Infine verranno citati altri autori e ambiti di ricerca, al fine di stabilire alcuni
elementi di base a partire dai quali - ci si augura - costruire una sociologia dei
diritti umani e fondamentali.
2 LA DIGNITÀ COME AUTORAPPRESENTAZIONE NECESSARIA
Procederemo di seguito lasciando volutamente in secondo piano) la distinzione tra
diritti umani e diritti fondamentali. Le ragioni sono varie. Anzitutto, in buona
parte, i contenuti indicati da tali espressioni coincidono: i diritti umani sono
“fondamentali” proprio perché riconosciuti a tutti in virtù dell’appartenenza al
genere umano, e la maggior parte dei diritti fondamentali - cioè quelli che uno
Stato riconosce e pone a fondamento del proprio ordinamento politico-giuridico4 - sono anche diritti umani. Inoltre Luhmann si
è occupato di entrambe le tipologie, come già accennato. Quand’anche si fosse
interessati a una sociologia relativa soltanto a una di tali categorie, può
risultare utile come punto di partenza un’analisi esplorativa di un insieme più
ampio e generale (come qui si cerca di fare). Soprattutto, entrambe le categorie
rimandano a un principio comune: la dignità. “Qualunque cosa oggi
s’intenda […] per diritti dell’uomo e diritti fondamentali, ciò che vi si cela è la
richiesta di sempre maggior sicurezza, per una vita in cui siano d’attributo la
dignità umana e il rispetto della persona.” (OESTREICH, 2001, p. 7).
G. Oestreich lo sintetizza molto bene: quando si parla di diritti umani o di
fondamentali, si fa riferimento a un “bene”, quello della vita umana, da tutelare al
massimo livello, in virtù della sua “natura” privilegiata, unica, incomparibile ad
altre forme di vita. Non solo: si tratta di un bene che è comune,
che caratterizza tutti i membri della comunità umana, e che proprio per questo è
fondamentale, irrinunciabile. Perché “lega”, tiene insieme la collettività, la
società stessa.
Il concetto di dignità rappresenta inoltre il presupposto per altri due
valori/diritti tipicamente moderni: da un lato la dignità non si dà senza la
libertà, poiché valorizza una modalità di esistenza che non può
essere costretta entro limiti prestabiliti e che è costantemente in divenire;
dall’altro, proprio perché fattore comune a tutti i membri del genere umano, essa
implica, o almeno sottintende, l’uguaglianza.
Come libertà e uguaglianza, la dignità è veramente tale soltanto se viene
riconosciuta dagli altri, a livello collettivo: è, scrive Hobbes nel
Leviathan, il “pregio pubblico di una persona, coincidente col
valore attribuitole dallo Stato” (HOBBES,
2008, p. 71). Si tratta di un attributo che tuttavia ognuno deve
riconoscere anzitutto a se stesso: come afferma Luhmann, la dignità e la libertà
rappresentano le condizioni fondamentali per
un’autorappresentazione riuscita, la quale a sua volta permette
all’individuo di sentirsi in condizione di agire nel contesto sociale. Senza
dignità, in altre parole, non è possibile la socializzazione dell’essere umano
“inteso come personalità individuale” (LUHMANN,
2002, p. 110).
Dal nostro punto di vista non è tanto importante ricostruire la storia dei concetti
di dignità e libertà, quanto intenderli, con Luhmann, come presupposto per l’azione
sociale, come requisito per l’inclusione nella comunicazione.
Di conseguenza, mentre la libertà agisce sul lato esterno dell’autorappresentazione
individuale, la dignità agisce su quello interno. La prima indica che “l’agire
sociale non si esaurisce nel compimento dell’azione, ma viene compreso in processi
di attribuzione simbolica” (LUHMANN, 2002, p.
115): si ha diritto alla propria personalità specifica, unica, senza subire
violazioni e ingerenze eccessive da parte dello Stato. La seconda indica invece il
fatto che i ruoli ricoperti nella società si accompagnano a una
“autorappresentazione degna di considerazione”: è la consapevolezza che si può
esprimere “ciò che si è”, che ci si identifica con la propria
persona. Detto ancor più direttamente: libertà e dignità -
prima ancora che diritti umani - vanno intesi quali costrutti,
istituzioni, prodotti specifici dell’ordine sociale moderno,
con una funzione precisa: garantire a tutti la possibilità di partecipazione nel
contesto sociale come individui, soggetti, persone degni di considerazione. “Le
necessità e le condizioni dell’interazione individualizzano e insieme socializzano
l’uomo. L’uomo acquista la sua individualità come persona solo nei rapporti sociali,
allorché ci si interessa, mediante consenso o mediante dissenso, alla sua
autorappresentazione.” (LUHMANN, 2002, p.
110-111).
La relazione tra i diritti umani/fondamentali e la concezione tipicamente occidentale
dell’individualità è già tutta qui: la dignità, considerata probabilmente il diritto
umano per eccellenza, presupposto di tutti gli altri, non può che essere
esclusivamente umana. Rappresenta l’attributo che dà forma
all’individuo (unico poiché differente da tutti i suoi simili),
alla persona (riferimento della comunicazione), al
soggetto (di diritto). È dunque la caratteristica che consente
di agire nella società.
Un approccio sistemico permette così di mettere in luce l’artificialità di tale
costrutto, la sua natura sociale, specificatamente moderna (e dunque non
“naturale”).
3 IL SOTTOSISTEMA SOCIETARIO DEL DIRITTO
Per la teoria dei sistemi sociali la società moderna - una
società-mondo policentrica e policontesturale (LUHMANN, 1997a) - è appunto un
sistema, un insieme di elementi collegati fra di loro
all’interno di una struttura. Quel che non appartiene al sistema (esseri umani
compresi) sta al suo esterno: è il cosiddetto ambiente. All’interno
del sistema più ampio della società si distinguono differenti sottosistemi, ognuno
con una funzione specifica, come ad esempio il diritto (o sistema giuridico:
Recht). In questo senso si parla di differenziazione
funzionale: la società è strutturata in sottosistemi chiamati a
risolvere problemi specifici. Ad esempio la medicina è diretta alla cura delle
malattie, la famiglia e i rapporti intimi riguardano l’orientamento alla
persona, l’economia gestisce risorse per definizione scarse, e
così via.
La funzione del diritto consiste nel mantenimento delle aspettative normative, cioè
di garantire che le norme - in particolare quando vengono deluse - rimangano
relativamente stabili nel corso del tempo. Esse servono a stabilire cosa accadrà nel
caso vengano infrante: di conseguenza, per quanto possibile, il futuro risulterà
vincolato5. Le norme devono essere
generalizzabili sul piano materiale (ovvero applicabili in circostanze diverse, a
casi differenti) e godere di un consenso generale. Per questo il diritto è
considerato il “sistema immunitario” della società, in quanto consente di reagire a
situazioni anomale e non totalmente previste.
Il codice del diritto, cioè la distinzione-guida che permette al sistema stesso di
riconoscere e definire gli elementi ad esso interni ed esterni, è
Recht/Unrecht. Il termine viene talvolta tradotto con una
relativa libertà, con l’intento di essere reso immediatamente evidente. La forma più
aderente al pensiero di Luhmann, anche se poco “intuitiva”, è però quella letterale
di diritto/non-diritto, o al limite di conforme/non
conforme al diritto. Detto altrimenti, il codice permette non soltanto
di distinguire i comportamenti legali (leciti) da quelli che non lo sono (illeciti),
ma anche di prendere in considerazione qualunque conflitto che possa essere
“giudiziabile” (CORSI, 2005, p. 12).
Come qualsiasi altro sistema, il diritto si è differenziato nel corso di un processo
evolutivo. Mentre nelle società arcaiche esso era considerato valido da sempre e
immutabile (“eterno o elargito in tempi remoti”: LUHMANN, 1990a, p. 109-10), in seguito si è sviluppata l’idea del
diritto naturale, “nel senso di un ordine gerarchico di fonti del diritto”,
attraverso la differenziazione fra “lex divina o lex
aeterna, lex naturalis e lex humana o lex
positiva” (LUHMANN, 1990a, p.
112). Infine il diritto si è positivizzato, trovando cioè i propri elementi
fondativi in se stesso (autonomizzandosi) e acquisendo la possibilità di mutare, al
fine di rispondere meglio alle esigenze della società. Il diritto moderno è dunque
legittimo, definito, ma allo stesso tempo è anche vero che su di esso è sempre
possibile decidere (TOSINI, 2009).
Quest’ultimo aspetto è per certi versi paradossale, ma non è il solo. La
paradossalità del diritto sta a suo fondamento, in quanto esso ritiene di decidere
“a ragione” fra ragione e torto. Tale paradosso è stato risolto in maniera
differente nel tempo (LUHMANN, 1990a, 1993). Qui vale soltanto la pena fare
riferimento alla “soluzione” più recenti: le costituzioni. Garantendo la separazione
delle funzioni fra sistema politico e giuridico e di conseguenza la loro rispettiva
autonomia, le costituzioni permettono di distinguere fra legislazione e
amministrazione della giustizia6 e di stabilire
norme vincolanti al massimo grado (diritti fondamentali) che rendono possibile una
elevata stabilità, ma che possono essere sempre modificate7.
4 GLI ESSERI UMANI DELLA SOCIETÀ: INDIVIDUI, SOGGETTI,
PERSONE
La tradizione occidentale è caratterizzata da un dualismo fondamentale (tipicamente
cartesiano) tra la componente corporea, animale, fisica da un lato
(bíos) e quella mentale, razionale, spirituale dall’altro
(lógos). Tale separazione rappresenta la premessa necessaria
per l’affermazione dei costrutti di individuo, soggetto e
persona: essi non avrebbero senso senza la distinzione fra il
corpo e la facoltà simbolico-intellettiva, in grado di portare quest’ultimo al di là
dei suoi limiti originari. Luhmann ha trattato tutte e tre le dimensioni.
Sintetizzando all’estremo, possiamo dire che l’individuo-soggetto-persona moderno è
un individuo (in, ‘non’, e dividŭus, ‘separato’,
‘separabile’) particolare, indivisibile, autonomo e differente da ogni altro; un
soggetto di diritti (che sono pretese riconosciute e legittimate socialmente), una
personalità (dotata di dignità, libertà, moralità).
Il problema dell’identità (tradizionalmente prestabilita dalla nascita in virtù
dell’appartenenza a un clan o a una tribù, a una famiglia, a uno strato sociale o a
un ceto), nella modernità viene “risolto” attraverso tale triplice costrutto: prende
vita così un’individualità autonoma, capace di rivendicare diritti, di comunicare e
di quella che Luhmann chiama autoreferenza8.
Ciò significa che le coscienze (nel lessico della teoria sistemica:
sistemi autopoietici che riproducono pensieri)
possono riferirsi a se stesse costruendo di momento per momento l’identità e così
facendo riprodursi (autopoiesi). L’identità, non essendo data a priori, è dunque
singolare, specifica, differenziata. Proprio come la società stessa, differenziata
per funzioni, a cui ognuno può prendere parte con modalità e livelli differenti di
coinvolgimento. È la persona a consentire la partecipazione: si
tratta di una costruzione (forma9) che
serve da riferimento nelle operazioni sistemiche di interazione e comunicazione.
Essa non indica l’essere umano nella sua totalità (qualunque cosa questa
espressione possa significare) ma soltanto la sua capacità di essere preso in
considerazione dai sistemi, cioè di entrare in relazione con l’ordine sociale.
La persona è “una restrizione delle possibilità di comportamento che dipende da
attribuzioni individuali” (LUH-MANN, 1995a, p. 418) e va distinta da “quella
sterminata quantità di operazioni fattuali di natura biochimica,
neurofisiologica, immunologica, cosciente, che restano completamente
intrasparenti a tutte le operazioni coscienti e comunicative” (LUHMANN, 2005, p. 72-73). Allo stesso
tempo, l’eteroreferenza dà la possibilità di riferirsi all’esterno (ambiente):
in questo modo possono essere avanzate pretese, che sono in buona parte
relative a diritti. Di conseguenza, a individui autonomi, possono essere imputati
principalmente diritti soggettivi.
5 I DIRITTI SOGGETTIVI
L’attribuzione di diritti ai singoli individui è un correlato della differenziazione
funzionale. Affinché siano possibili un’organizzazione sociale stabile e lo sviluppo
di prospettive individuali, il diritto non può limitarsi alla sua funzione
“immunitaria”10 ma deve anche rendere meno
improbabile il fatto di poter essere individui sempre autonomi in
grado di compiere scelte personali (specifiche e individuali). Con
i diritti soggettivi diventa possibile consentire l’inclusione dei singoli esseri
umani (in quanto persone) nel sistema del diritto.
Il soggetto è allora una “generalizzazione dell’uomo” che consente di avanzare
pretese, tanto nei confronti degli altri soggetti quanto nei confronti dello Stato:
è una zona autonoma, di libertà, di espressione della volontà individuale11.
Tale concetto abbandona il significato risalente alla Roma antica, in cui
subiecto significava “assoggettato”, cioè “posto sotto” (SUPIOT, 2005, p. 58) a una potestà (pubblica o
privata). Il soggetto di diritto moderno è invece un individuo
libero12.
La svolta avviene tra il XVIII e il XIX secolo, con la “teorica dei diritti
soggettivi”, che mette al centro del sistema giuridico l’individuo,
assunto come il soggetto del diritto e identificato con esso
[…] tutte le possibili situazioni giuridiche vennero a risolversi in
altrettanti «attributi» e «predicati» del «soggetto», cioè in
diritti soggettivi, sicché il «sistema del diritto»
venne a identificarsi con il sistema dei diritti soggettivi
(ORESTANO, 1950, p. 150)
L’essere umano “da «oggetto» delle norme assurge a rango di
subiectum”: diviene appunto il “soggetto”, il loro protagonista
assoluto. Si arriva così ad avere “al centro, signore e domino, il «soggetto»,
alias l’individuo, concepito come persona libera e cosciente”,
mentre il diritto soggettivo viene inteso “come potere della volontà del
soggetto” (ORESTANO, 1950, p.
151).
Anche qui Luhmann fa notare il paradosso: “come si è potuto mai pensare che il
diritto nel suo fondamento sia qualcosa di soggettivo quando esso è
incontestabilmente preposto a limitare l’arbitrio soggettivo?” (LUHMANN, 2001, p. 10). La risposta che fornisce
indica nei diritti soggettivi il correlato della differenziazione funzionale: mentre
nelle società caratterizzate da livelli di complessità relativamente scarsi (forme
della differenziazione primaria segmentaria e stratificata) la possibilità di
avanzare pretese soggettive è ridotta (a causa dell’appartenenza a un segmento o a
uno strato sociale specifico), nella società moderna complessa e differenziata è
necessario garantire un maggiore spazio d’azione ai singoli. In questo modo diventa
possibile garantire una convivenza pacifica (obbiettivo e presupposto della società
stessa) in cui il conflitto viene regolamentato. Il diritto (Jus)
diviene “libertà di fare o di astenersi dal fare”, mentre la legge
(Lex) “determina e obbliga a una delle due cose” (HOBBES, 2008, p. 105). Il diritto è dunque
“ripensato come possibilità di avere e avanzare pretese” (LUHMANN, 2001, p. 19). Così, con il pieno sviluppo della
differenziazione funzionale, “Il diritto diventa forma per la libertà e solo in
questo ha la sua funzione. Nel diritto naturale europeo occidentale questo
corrisponde all’idea dello Stato come semplice strumento per proteggere i diritti
individuali.” (LUHMANN, 2001, p. 21).
Nella società funzionalmente differenziata i diritti soggettivi sono dunque una
costruzione interna del sistema stesso: essi permettono di garantire la
partecipazione alla società. Il soggetto di diritto “è qualcosa che viene dato per
scontato, che viene riprodotto strutturalmente; che simbolizza l’uomo al di fuori
dei sistemi con la sua pretesa di inclusione” (LUHMANN, 2001, p. 46)13. Un
soggetto che reclama anzitutto due diritti: libertà e uguaglianza, i quali si
determinano proprio a partire dalla differenziazione funzionale14.
6 I DIRITTI FONDAMENTALI COME ISTITUZIONI E IL PARADOSSO DEI DIRITTI
UMANI
Per Luhmann i diritti fondamentali sono istituzioni, ovvero
aspettative di comportamento relative a ruoli sociali e che poggiano sul consenso
sociale15. Sono cioè
strutture che servono a stabilizzare la differenziazione del
sistema politico (chiamato alla produzione di decisioni vincolanti) oltre che
garanzie nei confronti degli individui, che vengono così protetti dagli eccessi
dello Stato stesso. “I diritti fondamentali non solo proteggono l’individuo dallo
stato: ma strutturano l’ambiente della burocrazia in modo da consolidare lo stato
come sottosistema della società e rendere complessivamente possibile un’attività di
comunicazione più efficace e incisiva.” (LUHMANN,
2002, p. 86)
Non si tratta perciò di “diritti umani eterni” (LUHMANN, 2002, p. 59-60) ma di uno strumento tipicamente moderno diretto
a prevenire tendenze regressive dell’ordine sociale e a garantire
chance di comunicazione, attraverso la stabilizzazione del
sistema politico, in modo che esso non invada altre sfere del sociale (la
personalità individuale, i processi di socializzazione, i differenti sottosistemi
della società).
Nella teoria dei sistemi è assente qualsiasi retorica o tensione morale: si tratta di
un’analisi scientifica del sociale. La differenziazione dei sistemi non è un
principio da difendere (un valore) ma condizione dell’ordine sociale: i diritti
fondamentali servono a evitare la regressione della società a stadi di sviluppo
precedenti.
Naturalmente tale compito non è facile. In una società complessa, caratterizzata da
un’elevata contingenza e da un’evoluzione continua, è necessario che i diritti
fondamentali rimangano aperti allo sviluppo e al mutamento: per questo non possono
essere determinati in maniera troppo specifica. La Costituzione16 serve a questo: essa stabilisce i principi fondanti dello
Stato, i diritti soggettivi irrinunciabili e i valori e le norme generali che
rappresentano un punto di riferimento per tutti i diritti e le pretese
(rivendicazioni) che si presenteranno in futuro, con nuove esigenze e condizioni non
prevedibili in anticipo17. La Costituzione
collega, pur tenendoli separati, il diritto e la politica: la legittimazione
politica e l’organizzazione del sistema amministrativo e di governo vengono
giustificate giuridicamente (trovano le proprie garanzie essenziali appunto nella
carta costituzionale). Allo stesso tempo il diritto resta aperto al futuro, in
quanto la Costituzione funge da riferimento costante di fronte alle istanze
provenienti dalla società (i principi in essa contenuti possono essere di volta in
volta applicati a nuove situazioni) e può essere modificata dal potere legislativo
(secondo modalità legittime previste costituzionalmente).
Ricapitolando, i diritti fondamentali svolgono le seguenti funzioni:
1) mantengono il futuro “aperto” (“flessibilità” nei confronti di
possibilità inedite). Così possono rispondere alle novità che si
presentano nell’ambiente. Sono dunque fondamentali
proprio perché “posti a fondamento” del futuro (CORSI, 2016, p. 15), pur non essendo
“fondamentalisti” (SCHWARTZ,
2007): cioè non sono necessari, ma contingenti.18
2) Garantiscono la differenziazione funzionale (la separazione fra i
sottosistemi e la loro autonomia).
3) Proteggono l’autonomia dell’individuo di fronte alle pressioni e alle
esigenze funzionali dei sistemi (in particolare quello politico).
4) Rendono possibile l’inclusione degli individui nei differenti sistemi
di funzione attraverso un esito positivo dell’autorappresentazione della
personalità individuale19.
L’autorappresentazione riuscita, degna di considerazione, consente infatti
all’individuo “di riferire il proprio agire a più sistemi sociali e di riunire in
una personale sintesi comportamentale le loro contrastanti esigenze”, cioè di
“rappresentarsi come uno e il medesimo in tutti i ruoli” (LUHMANN, 2002, p. 99). Tale “sintesi” - possibile anzitutto
attraverso i diritti fondamentali di dignità e
libertà - permette all’individuo di “trovare la propria
identità” di fronte alla differenziazione funzionale e ai molteplici ruoli che è
possibile assumere. L’identità individuale è così personale, soggettiva, legittimata
dalla società differenziata attraverso un vero e proprio “diritto all’individualità”
(LUHMANN, 2002, p. 93).
Di conseguenza, i diritti fondamentali legittimano l’ordine sociale (differenziato),
ma proprio da esso vengono a loro volta legittimati.
Al contrario di Grundrechte als Institution, nelle sue opere più
recenti Luhmann ha fatto riferimento non più ai diritti
fondamentali, ma a quelli umani
(Menschenrechte). La ragione può essere ricondotta, almeno in
parte, all’interesse per la semantica dell’individualità (in particolare per la
forma persona), per il problema dell’esclusione e
per i cosiddetti “scandali inaccettabili”, ovvero le violazioni estreme della
dignità umana. Di particolare importanza risultano a questo proposito alcuni
capitoli di Die Gesellschaft der Gesellschaft, una riflessione
sull’indispensabilità delle norme (Gibt es in unserer Gesellschaft noch
unverzichtbare Normen?) (LUHMANN,
1997b) e un articolo dedicato ai diritti umani e al loro paradosso
fondativo (Das Paradox der Menschenrechte und drei Formen seiner
Entfaltung) (LUHMANN,
1995b).
Quest’ultimo lavoro è dedicato al fondamento (Begründung) dei
diritti umani. Tale questione può essere intesa sia nel senso della validità
(“Herstellung von Geltung”) di tali diritti, che in quello
della loro giustificazione (“Angabe von Gründen”). Il problema è
evidente: se da un lato è possibile sostenere che esiste un consenso diffuso su
molti diritti umani e valori irrunciabili - ad esempio vita, pace, salute - più
improbabile diventa giustificare tale validità. Si tratta fra l’altro di
un’operazione pericolosa, poiché coloro che tentassero di metterla in discussione
verrebbero giudicati eretici o immorali (MOELLER,
2008). I valori sono infatti validi senza giustificazione: già soltanto
il fatto di metterli in discussione annulla la loro validità, rendendoli
inutili20. Quanto al loro contenuto,
inoltre - ma lo stesso cale per i valori/ diritti costituzionali - essi devono
restare “relativamente indeterminati”. Si può ad esempio pensare a un diritto/valore
alla felicità individuale, come accade nella costituzione degli Stati Uniti
d’America, ma stabilire concretamente cosa tale felicità significhi rappresenterebbe
una limitazione inaccettabile della libertà individuale e sarebbe “incostituzionale,
dovendo comunque escludere altre possibilità”: in quanto “formule “vuote””, i valori
consentono “di mantenere il futuro aperto” (CORSI;
MARTINI, 2018a, p. 66). Qui risiede la loro forza, “perché in questo modo
possono essere costantemente adattati a situazioni e fattispecie nuove o comunque
non prevedibili all’atto di redazione degli articoli della legge fondamentale”
(CORSI; MARTINI, 2018b, p. 31).
Ci si trova dunque di fronte a un paradosso - quello del fondamento dei diritti umani
- che la semantica della società deve “deparadossizzare” e che si ripresenta in
situazioni di crisi o quando si necessita di maggiore stabilità: Luhmann
ricostruisce come ciò sia avvenuto in epoche diverse21.
Inizialmente si tratta della validità della distinzione diritto/individuo22. Il problema è tipicamente moderno, dal
momento che proprio nella modernità viene meno la possibilità di riferire la propria
identità in maniera stabile sulla base della struttura gerarchica della società e
della nascita. Il paradosso viene dapprima risolto attraverso il contratto sociale,
che riconosce e rende validi i diritti stabiliti convenzionalmente; in seguito
attraverso la positivizzazione dei diritti, che vengono dichiarati nei testi
normativi (costituzioni, dichiarazioni, ecc.) e che dunque riconoscono e legittimano
diritti pre-positivi. Da ultimo, con le evidenti difficoltà degli Stati nel rendere
effettivi i diritti umani, risulta chiaro che il riconoscimento delle norme è
ampiamente condiviso solo quando esse vengono violate in maniera palese: appunto nei
casi più eclatanti, come la tortura. Tuttavia, più che il ricorso alle leggi scritte
e agli ordinamenti giuridici locali23 è
importante la diffusione dello scandalo a livello pubblico.
7 I “CASI DIFFICILI” E LE NORME INDISPENSABILI
Luhmann affronta il problema dell’indispensabilità delle norme in un breve testo
ricavato da un intervento all’Università di Heidelberg (LUHMANN, 2013). In esso egli non affronta di nuovo il tema
della necessità di norme in generale, dell’impossibilità di fare a meno di esse24. Invece, la questione è se esistano
determinate norme che risultino indispensabili, nel senso che sarebbe impossibile
rinunciare loro senza compromettere in maniera evidente l’ordine sociale.
Il sociologo apre il suo ragionamento con un hard case (“caso
difficile”): è giusto che il potere statale, attraverso i suoi apparati di
sicurezza, torturi il capo di un gruppo terroristico, con il nobile scopo di evitare
un’attentato e dunque una strage? La tortura è ovviamente (è perfino superfluo qui
rifarsi alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) una violazione
inaccettabile dei diritti umani. D’altra parte, il fine sarebbe quello di salvare
molte vite innocenti...
Trent’anni dopo Grundrechte als Institution, in un mondo sempre più
complesso, Luhmann riflette sulla possibilità di norme indispensabili quali
riferimenti ultimi in grado di orientare l’azione, assicurando così il funzionamento
dei sistemi. Qui si ha la riconferma del pieno status scientifico
della ricerca luhmanniana: al contrario di quel che sostengono le accuse di
“antiumanesimo”25 nei suoi confronti,
Luhmann non soltanto non si dimostra indifferente alla questione dei diritti umani,
ma - da autentico scienziato sociale - lavora su problemi e su dilemmi che la
società deve affrontare concretamente. Nel suo caso non si tratta perciò della
necessità di identificare norme indispensabili utili al “progresso” della società,
ma piuttosto di capire come le società già “risolva” problemi difficili prevenendo
crisi irresolubili e potenzialmente fatali per l’ordine sociale. Occorre evitare
giudizi morali e “qualsiasi costruzione etica del problema”, per tentare invece di
esaminare “se e con quali mezzi semantici il sistema del diritto può stabilire
l’indispensabilità delle norme” (LUHMANN, 2013, p. 34-38)26.
In questo senso, si potrebbe ad esempio ricorrere alla distinzione
inclusione/esclusione, centrale nelle opere tarde di Luhmann:
correlato ineliminabile della differenziazione funzionale, essa permette ai sistemi
di proseguire la propria autopoiesi (includendo appunto soltanto quel che rispetta i
requisiti del sistema stesso) anche se le conseguenze sugli esseri umani (che ne è
degli “esclusi”?) vengono spesso giudicate ingiuste e inaccettabili27.
La questione è fondamentale proprio perché l’inclusione nel sistema del diritto
rimanda alle norme e ai diritti da considerare indispensabili: i diritti includono,
più di ogni altro criterio - talvolta possono perfino più del denaro. In un mondo
sempre più contingente, caratterizzato da incertezza e rischi, diventa sempre più
urgente aggiornare e precisare i criteri dell’inclusione. Lo si vede oggi, tanto per
fare un esempio lampante, nelle discussioni relative alla gestione dei flussi
migratori.
Torniamo all’esempio della tortura del terrorista: qui, applicare il diritto (che
vieta ovviamente la tortura) può rivelarsi controproducente, oltre che ingiusto nei
confronti di potenziali vittime innocenti. Non è dunque al codice del diritto che
bisogna guardare. Si potrebbe tentare di ragionare “al di fuori” del diritto,
moralizzando la scelta, riflettendo sulle conseguenze delle decisioni possibili,
ricorrendo alla creazione di competenze specifiche in grado di giudicare i conflitti
di valore (“deroghe” come ad esempio la “ragion di Stato” o lo “Stato di
eccezione”). Oppure, come ipotizza lo stesso Luhmann, si potrebbe andare alla
ricerca di “autovalori” (Eigenvalues), di inviolate
levels (“livelli inviolati”28)
(LUHMANN, 2013, p. 44). Se i valori
tendono a confliggere fra loro, l’obiettivo sarebbe quello di identificare
valori ultimi che non possano essere messi in discussione. Le
norme indispensabili, cioè, dovrebbero basarsi su “orientamenti” che nella
comunicazione normale vengono supposti ma non tematizzati in maniera esplicita, e
che proprio per questo risultano validi senza ulteriori giustificazioni.
Si rimane allora all’interno del diritto, non proclamando però diritti irrinunciabili
“rigidi”, quanto piuttosto valori aperti, il cui contenuto concreto debba essere
specificato e contestualizzato di volta in volta a seconda della situazione. Il
diritto d’altronde serve proprio a decidere, e a sapere come poterlo fare. La
“ragione” appunto non basta, come mettono in luce i “casi difficili”, poiché le
differenti alternative hanno le proprie ragioni dotate di senso
(LUHMANN, 2013, p. 45-49).
In sostanza le questioni delle norme indispensabili, dei diritti umani e
dell’inclusione sembrano formare un complesso problematico unitario, poiché
riguardano problemi strutturali di una società in cui è impossibile stabilire
gerarchie fra sottosistemi e di conseguenza modalità stabili di inclusione e di
tutela delle persone (artefatti comunicativi) e dei
corpi (vita biologica).
D’altro canto, con l’affermazione del Welfare State (Stato del
benessere), la garanzia dei diritti umani e fondamentali viene allargata, nella
forma di diritti soggettivi29 e pretese
crescenti (in termini sia quantitativi che qualitativi): è un fenomeno che può
essere definito come inflazione di pretese
(Anspruchsinflation) (LUHMANN,
2015, p. 52-70).
Il problema dei diritti umani non risulta, a nostro parere, ridimensionato da un tale
ragionamento: tuttavia forse vale la pena distinguire le norme indispensabili quali
valori ultimi, che fanno da collante per la società, dai “diritti umani” come
prodotto storico, cioè pretese di stampo umanistico.
I diritti umani intesi, come spiegato da Luhmann, quali “postulato della modernità”,
cioè riferimenti in grado di riassumere “le condizioni dell’inclusione di tutti i
sistemi di funzione, rappresentando così nuovamente un principio umano «neutrale»
nei confronti delle differenze”, mostrano tutta la loro debolezza: intesi in questo
modo si riducono a una “ideologia” in base alla quale “l’unico problema della
modernità sembra consistere nel fatto che questi diritti non sono stati ancora
realizzati in maniera sufficientemente ampia, e soprattutto non in tutto il mondo”
(LUHMANN, 1997b, p. 628, traduzione
nostra).
Luhmann stesso suggerisce - e qui torniamo alla “deparadossizzazione” del paradosso
dei diritti umani - la possibilità di considerare “un modo molto primitivo di
generare norme sulla base di incidenti scandalosi ai quali i mass media danno una
copertura globale” (LUHMANN, 2013, p.
51)30. Si tratta dei cosiddetti “incidenti
scandalosi”: le palesi violazioni della dignità umana impossibili da giustificare,
al di là di qualsiasi contesto culturale. Così non ci si basa sulla ragione o sulla
morale, quanto su una “sensibilità estetica” che è un prodotto culturale ma che
sarebbe probabilmente riconducibile ad un carattere più essenziale ed originario,
forse addirittura primordiale. Non si tratta della possibilità di percepire il
“bello”, ma di un possibile carattere comune dell’umanità, di una istintiva
“irritabilità” di fronte alla violenza. Invece di fare affidamento a valori e ideali
retorici, supposti come universali ma difficilmente concretizzabili (NEVES, 2004, p. 143-180), la questione delle
norme indispensabili potrebbe dunque essere ricondotta al “potenziale generativo” -
detenuto dagli scandali diffusi a livello globale dai media di massa - di norme
condivisibili su larga scala. Un potenziale che ha proprio nella dignità il suo
principio originario (PRANDINI, 2013a) e che,
in termini sistemici, potrebbe essere considerata una “formula di contingenza”, cioè
un raggruppamento di simboli “che servono a trasformare in contingenza determinabile
la contingenza indeterminata di un certo ambito funzionale” (LUHMANN, 1991, p. 192). Una tale formula - come la
giustizia nel diritto moderno - potrebbe rappresentare la
soluzione di dilemmi e paradossi giuridici relativi ai diritti umani. La dignità,
valore condiviso su scala crescente, al di là dei confini statali e culturali,
potrebbe in effetti avere tali caratteristiche.
8 IL FUTURO DEI DIRITTI
Dalla prospettiva della teoria dei sistemi sociali, il problema dell’indispensabilità
delle norme incrocia dunque quello dell’irrinunciabilità di certi diritti. “Valori
propri” (Eigenvalues) può essere la risposta in entrambi i casi: il
diritto, quale sistema autopoietico, dovrebbe pervenire a “livelli inviolati” che
“rappresentano degli equilibri” (VON FOERSTER, 1988) ottenuti dal sistema nel suo operare ricorsivo.
Se il compito della teoria sociologica è quello di “descrivere meglio” la società e
il sociale, di osservare in maniera più acuta, di dotarsi di una “cassetta degli
attrezzi” più ricca31, la prima difficoltà
evidente nell’ambito del diritto è la notevole resistenza di una semantica - quando
non di una retorica - giuridica ancorata alla tradizione, restia al mutamento. I
concetti classici - e non soltanto all’interno della dogmatica - sono scarsamente
flessibili. Ciò sta in contrapposizione evidente con la necessità del diritto di
decidere sempre, in ogni caso, in situazioni inedite e sempre più incerte.
Puntare invece su determinati costrutti tradizionali non sembra fruttifero: si pensi
all’insistenza sullo status della persona, sacro, non negoziabile,
che rimanda a sua volta a una concezione dell’uomo quale detentore di diritti
inalienabili e assoluti, addirittura al “diritto di avere diritti”32 (inteso peraltro in un senso ben differente
da quello di H. Arendt33, che ha coniato tale
espressione). Il rischio in questo caso è di mostrare impotenza, oltre che
indignazione: infatti l’azione viene rimandata ai singoli, alle organizzazioni e ai
movimenti sociali, ovvero a riferimenti oggi piuttosto in crisi.
La prospettiva sistemica incoraggia invece a considerare la società come un’entità
che deve trovare da sé i propri equilibri, poiché è a partire dalle strutture che
sorgono determinate possibilità (invece di altre). Ciò non significa sottovalutare
le richieste (pretese) degli “esseri umani concreti”, ma capire che esse risultano
rilevanti - e possono essere accolte - nella misura in cui riescono ad “irritare” i
sistemi di funzione.
Vale dunque la pena chiedersi quanto sia utile rimanere fedeli a una semantica dei
diritti, in evidente affanno, quando la necessità sembra
piuttosto quella di valori, definiti meno rigidamente e perciò
(almeno apparentemente) meno vincolanti, ma proprio per questo più facilmente
adattabili a differenti situazioni.
9 LA FUNZIONE EVOLUTIVA DEI DIRITTI FONDAMENTALI E UMANI
Vale la pena soffermarsi ancora un momento sul legame fra diritti umani e inclusione.
Si è visto che i diritti fondamentali e umani servono a garantire le condizioni
minime che permettono agli esseri umani di partecipare alla comunicazione, cioè di
“assumere un ruolo” e “agire” all’interno dei differenti sistemi. Sono appunto i
requisiti minimi per l’inclusione. Sono generali, ovvero non specifici, non tarati
sul caso singolo, ma flessibili, adattibili e mutabili. Anche per questo lo scarto
tra i diritti e la loro “effettivizzazione” è ampio: perché in differenti epoche,
contesti storici e culturali, cambia il significato da essi assunto. Quel che i
diritti umani e fondamentali - che, come si è visto, sono valori -
devono fare dunque è garantire le possibilità di inclusione: in questo senso, più
che diritti nel senso di prestazioni esigibili, sono appunto
garanzie. Generiche, flessibili, indeterminate quanto si vuole,
ma comunque punti di riferimento costanti in ogni differente sistema di funzione,
ciascuno dei quali stabilisce i propri criteri minimi per l’inclusione e assegna un
determinato contenuto al valore-diritto umano (o fondamentale). Per questo tali
garanzie “nulla possono relativamente alla gestione reale dell’inclusione e alle sue
conseguenze” (DE GIORGI, 2017, p. 327.
traduzione nostra).
Va però messo in evidenza un fatto: al contrario di quanto lascerebbero intendere la
retorica, i buoni sentimenti o anche un “legittimo” desiderio di progresso, i
diritti umani non rappresentano un “diritto superiore”, ma piuttosto “occupano lo
spazio intermedio che separa, ma si potrebbe anche dire, che accoppia, il diritto e
la politica” intesi come sistemi. Come la Costituzione - che nei termini di Luhmann
rappresenta l’accoppiamento strutturale fra politica e diritto - i diritti
fondamentali in essa contenuti hanno una “funzione evolutiva” che consiste appunto
nel “bloccare l’involuzione, impedendo che il passato travolga il presente con i
suoi detriti” (DE GIORGI, 2017, p. 328).
Si tratta allora di diritti “minimi”: non soltanto nel senso che dovrebbero garantire
le condizioni basiche dell’esistenza, evitando violazioni palesi, soprusi, ecc., ma
pure che rappresentano gli “ingredienti di base” dell’ordine sociale. Ciò proprio in
virtù della loro flessibilità e adattabilità, che garantiscono una costante
possibilità di riequilibro e di “aggiustamento” alla realtà sociale.
Riassumendo: i diritti umani garantiscono la possibilità di evolvere
al sistema del diritto stesso (cioè permettonono al diritto di esporsi a
un’evoluzione continua) in quanto rendono possibile il raggiungimento di “livelli
sempre più elevati di artificialità, livelli sempre più raffinati di sedimentazione
giuridica della comunicazione sociale” (DE GIORGI,
2017, p. 334).
10 VERSO UNA SOCIOLOGIA SISTEMICA DEI DIRITTI FONDAMENTALI E UMANI
A partire da quello di Luhmann, quale ulteriore contributo può dare la teoria dei
sistemi sociali? Prima ancora di fare una “sociologia di qualche cosa” - in questo
caso dei diritti fondamentali o dei diritti umani - vale la pena considerare il
fatto che la teoria può mettere a confronto fra loro specifiche sociologie e di
conseguenza trarre considerazioni potenzialmente utili. Le pubblicazioni che si
richiamano a una sociologia dei diritti umani costituiscono un ambito di ricerca
ancora piuttosto marginale e che fatica a liberarsi dal tenore retorico e
moralizzante tipico di buona parte delle scienze umane e sociali. Ad ogni modo i
tentativi non mancano. Inoltre l’importanza di studiare i diritti umani al di là
della loro dimensione strettamente giuridica, e dunque anche come concetti e fatti
sociali, è stata messa in evidenza da qualche tempo34.
In ambito sistemico, segnaliamo ad esempio G. Verschraegen, il quale ha tentato di
preparare il terreno per una descrizione genuinamente sociologica dei diritti umani
(VER-SCHAEGEN, 2002, p. 280). L’autore sembra mostrarsi “fiducioso” verso i diritti
umani come strumento giuridico, in grado di mantenere e potenziare la
differenziazione funzionale. Egli rileva l’emergere nel secondo dopoguerra di una
“sociologia della cittadinanza”, dunque di ricerche sull’attivismo dei diritti
umani, sull’espansione mondiale delle istituzioni che si dedicano alla promozione di
tali diritti, sul manifestarsi di una varietà di diritti (culturali, collettivi,
delle donne) e pratiche di implementazione a livello locale. La sociologia sarebbe
dunque pronta a far luce su come e perché i diritti umani siano emersi quale
prodotto sociale fondamentale della società contemporanea. Il suo compito principale
sarebbe quello di ricostruire le condizioni che rendono plausibili i diritti umani
nella società (VERSCHAEGEN; MADSEN,
2013)35.
Ancor più sviluppato è il lavoro di G. Teubner, in particolare riguardo il difficile
ruolo dei diritti fondamentali all’interno degli spazi sociali transnazionali. Il
problema della frammentazione (dovuta alla differenziazione
funzionale e alle differenze regionali) della società mondiale e del diritto crea
sfere separate, caratterizzate da “razionalità” differenti. Da qui i conflitti tra
le stesse razionalità e le relazioni disarmoniche tra sottosistemi di funzione.
Teubner problematizza la differenziazione, concentrandosi sui conflitti e sulle
influenze reciproche tra sistemi, sulle minacce alla loro rispettiva autonomia e
sulle conseguenze che tutto ciò ha sugli individui.
L’autore descrive come oltre che all’espansione problematica del sistema politico
(che tende ad attraversare i confini degli altri sottosistemi e ad invadere la sfera
individuale “nel suo intento di controllare sia il corpo che la mente degli uomini”)
e agli “effetti espansionistici” degli altri sistemi, si assista oggi anche ad una
“molteplicità di anonimi e ormai globalizzati processi comunicativi” ù(TEUBNER, 2013, p. 386-389). La società viene
dunque descritta come una “matrice anonima” (TEUBNER, 2006, p. 327-346) di comunicazioni, che tende ad espandersi con
indifferenza nei confronti degli esseri umani. I diritti fondamentali hanno dunque
il compito di tutelare gli individui tanto dallo Stato quanto dalle intrusioni degli
altri sottosistemi della società, la cui autonomia deve essere a loro volta
protetta36. Tali diritti riguardano le
relazioni di potere ma “controllano” anche ogni media della comunicazione che tenda
a colonizzare gli altri settori della vita sociale. Occorre di conseguenza
distinguere tra: 1) diritti che proteggono gli individui (sostanzialmente la libertà
e la dignità individuale); 2) diritti che proteggono simultaneamente sfere
individuali e sociali (come la libertà d’opinione, l’arte, l’istruzione, la
ricerca); 3) diritti che proteggono in prevalenza sfere sociali (proprietà,
famiglia, diritti costituzionali politici, ecc.) (TEUBNER, 2015).
Teubner distingue così tra diritti istituzionali, diritti personali
e diritti umani. I primi riguardano l’autonomia dei “discorsi
sociali” (come religione, arte, scienza), con lo scopo di sottrarli “alla conquista
da parte delle tendenze totalitarie delle altre matrici comunicative” (TEUBNER, 2013, p. 390) stabilendo delle “norme
di collisione” tra razionalità parziali sociali37. I diritti personali tutelano invece l’autonomia
della comunicazione, proteggendo individualmente le persone,
artefatti comunicativi, partecipanti ai sistemi di funzione. I diritti
umani, infine, sono “limiti negativi imposti alle comunicazioni
societarie, laddove l’integrità fisica e mentale dell’individuo venga messa a
repentaglio da una matrice comunicativa” (TEUBNER,
2013, p. 390): riguardano la salute fisica e psichica degli esseri
umani.
Tale tripartizione consente di distinguere chiaramente i titolari
dei diritti (portando l’attenzione alle vittime delle violazioni) e le differenti
dimensioni coinvolte, in cui è necessario stabilire interventi
di tutela: ha dunque una qualche possibilità di essere immediatamente compresa anche
al di fuori del sistema della scienza (nello specifico, della sociologia), con una
conseguente potenzialità al livello delle politiche sociali.
La tutela del singolo, aggiunge Teubner, dipende in ogni caso da strategie inedite,
in quanto la tradizione legata ai diritti fondamentali non ha separato i diritti
intrinseci dei singoli dai diritti personali e istituzionali, ma li ha tradotti
invece in diritti fondamentali individuali, soggettivi: i quali però oggi non sono
più sufficienti, di fronte alle crescenti e differenti rivendicazioni degli esseri
umani “concreti”.
In definitiva, occorre accettare l’inevitabilità delle violazioni
dell’integrità individuale all’interno di una società che “risucchia” (TEUBNER, 2012, p. 165) le energie fisiche e
psichiche degli individui. Il problema dei diritti fondamentali non si limita perciò
al rapporto stato-individuo, alla politica o al potere in generale: riguarda invece
“la liberazione e autonomizzazione di altri media comunicativi
altamente specializzati (denaro, sapere, diritto, medicina, tecnologia)” (TEUBNER, 2012, p. 163). Occorre perciò
identificare i confini che separano gli ambiti della comunicazione dagli esseri
umani, “per riconoscere le specifiche violazioni pericolose per l’integrità”:
confini da cercare “negli svariati costrutti della persona dei sistemi parziali,
cioè l’homo politicus, oeconomicus, juridicus, organisatoricus,
retalis e così via” (TEUBNER, 2012, p.
164).
Per Teubner però tutelare appieno i diritti umani è un progetto irrealizzabile e
paradossale: la società non può rendere giustizia ai singoli (“real
people”), agli esseri umani nella loro integrità, visto che essi “non
ne costituiscono parte integrante ma si situano al di fuori della comunicazione”
(TEUBNER, 2006, p. 333). Soltanto
l’auto-osservazione del corpo e della mente - introspezione, sofferenza,
dolore - può valutare se la comunicazione violi i diritti umani. Se questa
auto-osservazione, per quanto distorta, raggiunge la comunicazione, allora
c’è qualche possibilità di una auto-limitazione della comunicazione giusta
sotto il profilo umano (TEUBNER,
2006, p. 394-5)
I diritti umani rappresentano allora una sfida cruciale per la
società contemporanea, relativamente a un’idea di giustizia che “può essere
formulata soltanto negativamente”, in quanto essa “aspira a rimuovere le situazioni
ingiuste, non a crearne di giuste” (TEUBNER,
2013, p. 394). Sfida che potrebbe (forse) essere affrontata in maniera
migliore se fosse articolata attraverso la ridefinizione di tali diritti come
diritti ecologici, cioè dell’ambiente, proprio perché gli esseri
umani non sono sistemi, ma fanno parte dell’ambiente della società.
Occorrerebbero quindi da un lato un genuino approccio sociologico, consapevole
dell’inevitabilità - all’interno di una società caratterizzata dalla
differenziazione funzionale - della disuguaglianza e dell’esclusione; dall’altro
politiche sociali che sappiano immaginare “nuovi dispositivi di re-inclusione” in
grado di mettere in risalto “la concretezza empirica ed esistenziale
dell’individuo” (che non coincide con la
persona).“La matrice sociale deve invece essere capace di
riconoscere che l’individuo è sacro e intoccabile
e che, proprio per questo, va ricostruito semanticamente all’interno della società
in quanto persona” (TEUBNER, 2013, p.
224).
Si arriva così a un “diritto costituzionale delle collisioni” (TEUBNER, 2012, p. 22) che individua nella “transnazionalità” un
carattere intrinseco della modernità: mentre le singole costituzioni nazionali si
rivelano sempre più carenti e sempre meno al passo con i tempi, fioriscono conflitti
tra frammenti costituzionali, tra costituzioni dei regimi transnazionali, tra
costituzioni nazionali, tra queste e gli ordinamenti normativi indigeni.
Da qualche tempo si discute anche la possibilità di un diritto costituzionale
globale. Come ricorda C. Thornhill (2016),
l’aggettivo “globale” può essere inteso in due modi. Da un lato nel senso di
un’intensificazione del diritto internazionale classico, con la possibilità di dar
vita ad una gerarchia di norme di base, applicabile ai differenti soggetti
(individui, organizzazioni, corporation). Dall’altro, quale
derivato del diritto privato o della confluenza fra questo e il diritto pubblico
internazionale, attraverso la capacità dei differenti ambiti funzionali della
società di generare proprie strutture regolative che acquisiscono, sia per gli stati
nazionali che per gli attori locali, una portata di natura quasi-costituzionale.
Riguardo gli ordinamenti giuridici multidimensionali e “post-statali”, M. Neves
propone il “transcostituzionalismo” come nuovo modello. Si tratta tanto di
un’elaborazione teorica in grado di spiegare le dinamiche costituzionali della
società-mondo, quanto di una tendenza già in atto, da concretizzare attraverso
“conversazioni costituzionali”. Il transcostituzionalismo punta dunque a sviluppare
problemi giuridici e costituzionali che attraversino i differenti tipi di
ordinamento giuridico.
Neves si concentra sullo sviluppo di meccanismi di mutuo apprendimento e influenza
tra sfere comunicative, postulando l’esistenza di “sfere di razionalità trasversali”
tra ambiti sociali eterogenei. Si tratta di un concetto che integra quello di
“accoppiamento strutturale” di Luhmann, per indicare le possibilità di apprendimento
(cognitivo) del sistema giuridico.
Rispetto alle carte costituzionali, l’autore delinea possibili modalità attraverso
cui i differenti ordinamenti giuridici della società-mondo possano entrare in
relazione (ordinamenti statali, locali, internazionali, sovranazionali e
transnazionali) arrivando a situazioni di “fecondazione costituzionale incrociata”
(NEVES, 2009, p. 104) in cui le corti
costituzionali fossero disposte a impegnarsi nell’apprendimento costruttivo con
altri tribunali.
Neves ribadisce anche la distinzione fra diritti umani e diritti fondamentali: mentre
questi ultimi sono quelli costituzionalmente positivizzati dagli Stati, i primi sono
aspettative normative di inclusione giuridica per tutti i singoli esseri umani nella
società-mondo, permettendo dunque l’accesso universale al diritto come sottosistema
della società. I diritti umani reclamano la propria validità sul piano “a più
livelli” del “sistema giuridico mondiale multicentrico”, cioè per ciascun
ordinamento giuridico della società-mondo (NEVES,
2009, p. 226).
I riferimenti qui selezionati danno certamente ottimi spunti di riflessione e
soprattutto segnalano alcuni nodi problematici ai quali il lavoro teorico potrebbe
dedicarsi con profitto: la distinzione di Teubner tra la salvaguardia di corpi e
menti - attraverso i loro relativi diritti - evidenzia l’irrunciabilità di pensare a
un valore intrinseco agli esseri umani (intesi nella loro differenza empirica dal
sociale). Allo stesso tempo, viene ammesso che tali diritti possono reclamare la
loro validità soltanto quando la sofferenza psichica e mentale riescono a irritare
la comunicazione, Tuttavia l’azione concreta - in particolare la sfida di rendere i
sistemi responsivi, cioè in grado di “gestire la differenza” fra
sistema e ambiente, allo stesso tempo rispettandola e “mettendola nelle condizioni
di essere-rimanere differente” (PRAN-DINI, 2013b, p. 266) - non spetta alla
sociologia (scienza) ma alle politiche sociali. Ovvero è compito non dei sociologi,
ma di chi fa politica e di chi lavora nel sociale, distinguere l’essere umano nelle
sue componenti psichica e organica dal sociale, cercando di salvaguardarlo
attraverso la costruzione di “uno spazio di mediazione tra un sociale sempre più
matriciale e un individuale sempre più biologico-psichico” (PRANDINI, 2013b, p. 267).
Il contributo della sociologia sistemica è differente e considera i diritti quali
istituzioni dotate di una funzione specifica. Si riconosce dunque che essi non sono
né assoluti né necessari, ma generici e non specifici. Ciò non
riduce la loro importanza e utilità: se i diritti fondamentali non determinano il
contenuto concreto di possibili nuove norme, ma si limitano a “tenere aperto” il
futuro a ulteriori possibilità, a situazioni inedite, ciò significa che essi
rappresentano da un lato una risorsa continuamente in grado di stimolare la
progettualità di coloro che promuovono la discussione interna al diritto; dall’altro
uno strumento per la riflessione teorica sui confini tra sottosistemi di funzione e
sulla loro definizione.
Il tentativo di sviluppare una teoria sociologica dei diritti fondamentali deve
naturalmente avvalersi delle osservazioni relative a questo tema e a quello della
salvaguardia del benessere psicofisico individuale - a cui Teubner guarda con
attenzione - provenienti da una molteplicità di altri sforzi: occorre tenere conto
ad esempio dell’evoluzione della semantica dei diritti e della dignità umana, di
quella relativa all’identità e alla relazione fra le sue dimensioni pubblica e
privata, delle ricerche filosofiche sull’ordine sociale, di quelle che osservano la
correlazione fra fenomeni culturali, disturbi psicologici e processi sociali, degli
studi teorici sulla crisi e sul futuro della civiltà occidentale, oltre che dei
contributi più differenti della sociologia del diritto.
Lo scopo dovrebbe dunque essere quello di costruire una teoria fondata sulla
consapevolezza che nella società moderna, differenziata funzionalmente, non c’è un
sistema che orienta gli altri: di conseguenza, risultano “fisiologiche” una
“mancanza di produzione simbolica” in grado di “tenere insieme i diversi sistemi”
(PAOLO, 2013, p. 21) e una scarsa
attenzione per il “fattore umano”.
11 CONSIDERAZIONI FINALI
In questo contributo si è tentato di stabilire i presupposti di una sociologia
sistemica dei diritti umani e fondamentali. Il contributo di Luhmann è stato
integrato sia da quello di studiosi della sua teoria che in anni più recenti si sono
occupati di tale tema (pur interessandosi, principalmente, al costituzionalismo) che
da riferimenti, sempre di stampo sociologico, esterni alla teoria dei sistemi. Ci si
augura che tale tentativo possa destare un minimo di attenzione e stimolare a
compierne ulteriori.
Riassumendo, attraverso questo lavoro abbiamo cercato, accanto alla ricostruzione dei
passaggi essenziali del pensiero di Luhmann sui diritti umani e fondamentali, di
analizzare la semantica di tali diritti. Tale complesso semantico è stato messo in
relazione a quello dell’individuo-soggetto-persona, anch’esso caratteristico della
civiltà occidentale. Si è sostenuto che lo sviluppo e il successo dei diritti
soggettivi descriva il collegamento tra le due semantiche, evidenziandone il
“senso”, la necessità e il “vantaggio evolutivo”. Infine, si è visto che contributi
differenti indicano la possibilità di sviluppare una specifica sociologia dei
diritti fondamentali e umani: possibilità che dipende sostanzialmente dalla volontà
di costruirla, poiché già ve ne sarebbero i presupposti (problemi, aree di
interesse, collegamenti con altri discipline). D’altro canto, occorre certamente -
come minimo - tanto formulare meglio domande e obiettivi, quanto dotarsi di
strumenti metodologici adatti alla ricerca.
Le difficoltà naturalmente non mancano. Perché, ci si potrebbe chiedere, scegliere un
approccio sistemico piuttosto che una teoria meno astratta e maggiormente diffusa
all’interno della comunità scientifica? Davvero il sociologo può - anzi deve -
lasciare da parte qualsiasi motivazione etica e valutazione morale, per osservare i
diritti umani e fondamentali in maniera distaccata, come oggetti o fatti sociali fra
molti altri? È accettabile occuparsi di tali diritti senza necessariamente
“battersi” per la loro difesa e per il loro sostegno? In tal caso, il sociologo
dovrebbe forse compiere forse una sorta di “osservazione partecipante”? Perché non
partire da interpretazioni della società già consolidate e che godono di un discreto
(o di un notevole) successo dentro e fuori dalle università? Perché non applicare,
ad esempio, la visione della “società liquida” - e conseguentemente della liquidità
di differenti dimensione del sociale (amore, vita, modernità, ecc.)? Perché - come
fa larga parte della comunità dei sociologi - non considerare la realtà attuale il
prodotto di una ideologia capitalista, consumista, individualista, che si è imposta
in qualsiasi ambito, cercando di prendere in considerazione insieme elementi
contradditori (progresso tecnologico, allungamento della vita umana, affermazione
dei diritti stessi da un lato, disuguaglianze, “cultura dello scarto”, pericolo di
conflitti armati potenzialmente catastrofici dall’altro), cercando di proporre una
lettura critica ma capace allo stesso tempo di essere propositiva?
Crediamo che la risposta a questi - e ad altri dubbi - possa essere la seguente: il
contributo forse più essenziale e più originale della teoria dei sistemi consiste
nel fatto che essa tenta di definire una sociologia che sia realmente “scientifica”,
libera da dogmi, intenti etici e morali, idealismi. Se la funzione dei diritti umani
e fondamentali è quella di “tenere aperto il futuro”, non deve dunque scoraggiare la
consapevolezza che tali diritti, quali “principi di inclusione […] sono stati
proclamati come una sorta di assegno in bianco per il futuro” e che come tali “non
sono stati realizzati” (LUHMANN, 1997b, p.
1076). Occorre invece descrivere meglio le dinamiche strutturali e i mutamenti
semantici della società: farlo attraverso la teoria dei sistemi sociali significa
avere la consapevolezza che, di fronte a una realtà sempre più complessa, non si ha
il timore di dar vita a descrizioni che siano anch’esse maggiormente complesse.
NOTA
Informações sobre autoria do trabalho sobre o artigo submetido à Revista Opinião
Jurídica (Fortaleza), “Diritti fondamentali e diritti umani: il contributo della
teoria dei sistemi sociali” Fernando Rister de Sousa Lima e Matteo Finco
trabalharam juntos na elaboração do design da pesquisa, em levantamento
bibliográfico e no debate de idéias. Na redação propriamente dita: Fernando
Rister de Sousa Lima cuidou da redação dos capitulos 1-6 e da revisão geral do
texto; por sua vez, Matteo Finco cuidou da redação dos capitulos 7-11 e da
revisão e tradução para o italiano
Fra i campi in cui lo sguardo sociologico si è affermato più di recente, si
possono citare ad esempio la sociologia dell’ambiente e del territorio, la
sociologia della salute, la sociologia della globalizzazione.
La differenza fra le due espressioni verra analizzata in seguito.
“se da un lato la semantica è possibile solo e soltanto a partire dalle
condizioni di possibilità date dalla struttura, dall’altro la struttura può
essere colta solo e soltanto a livello semantico. Per essere più precisi
possiamo dire che i mutamenti strutturali possono essere colti solo e soltanto a
livello semantico, cioè solo un osservatore attraverso un patrimonio concettuale
(osservazioni, descrizioni, teorie, etc.) è in grado di descriverli.” (PAOLO, 2013, p. 29).
In generale, la distinzione fra le due categorie può essere delineata come segue:
i diritti fondamentali sono le norme e i principi sanciti ufficialmente da uno
Stato, validi anzitutto per i suoi cittadini; i diritti umani invece hanno un
valore universale, in quanto si applicano a tutti gli esseri umani, al di là
dell’appartenenza territoriale e solitamente vengono affermati in Trattati e
Carte internazionali. Inoltre, “diritti fondamentali” è un’espressione
“plausibilmente aperta e relativa” che può essere riferita
“all’“uomo” oppure ad altro: ad ambiti, casi, circostanze, oppure società,
ordinamenti giuridici, o morali; è dunque rispetto a questi
che, di un insieme di “diritti”, si può (o si deve) dire se (o che) siano
fondamentali.” (PALOMBELLA, 1999, in
linea). In sostanza, quella dei diritti fondamentali è una categoria
strettamente giuridica, mentre quella dei diritti umani travalica i confini del
diritto.
La norma dunque è determinata da una “distinzione di possibilità di condotta in
caso di delusione” (LUHMANN, 2002, p.
118): è una “aspettativa di condotta stabilizzata controfattualmente”. Il
diritto “non promette una condotta conforme alla norma, ma tutela colui che se
la aspetta.” (LUHMANN, 2002, p. 120). La
condotta deviante è sempre possibile: il diritto serve appunto a garantire le
aspettative “meritevoli di tutela” (LUHMANN,
2002, p. 121).
“The legal system may recognise political motives as sufficient for changing the
law - but only at the level of legislation and not at the level of
adjudication.” (LUHMANN, 1988, p. 160).
Sulla costituzione come accoppiamento strutturale fra politica e diritto, cfr.
Luhmann (1996).
Le due componenti essenziali delle costituzioni sono dunque “i diritti umani per
la delimitazione verso l’esterno e il principio della separazione dei poteri
come meccanismo di autocontrollo giuridico” (LUHMANN, 1997b, p. 967-968. Traduzione nostra).
“There is no individuality ab extra, only self-referential
individuality.” (LUHMANN, 1990b, p.
116).
Luhmann riprende tale concetto da Spencer-Brown
(2014).
Si veda il paragrafo 3.
“l’individuo può agire liberamente ed è legittimato ad agire così come agisce da
un diritto che gli spetta” (LONGO, 2001,
p. 9).
Il concetto di diritto soggettivo corrisponde, nel diritto moderno, “al concetto
di libertà d’azione individuale: i diritti individuali (in inglese: «rights»)
stabiliscono i limiti all’interno dei quali un soggetto trova libera e legittima
conferma della sua volontà.” (HABERMAS,
1996, p. 103).
Tale costruzione serve dunque, sinteticamente, “a formulare le nuove esigenze di
inclusione di un sistema della società differenziato funzionalmente. Solo questo
contesto di utilizzo socio-strutturale rende il concetto di diritto soggettivo,
indipendentemente da definizioni mutevoli e fondazioni teoriche,
sufficientemente plausibile ed elimina così il bisogno di continuare ad
analizzare il concetto.” (LUHMANN, 2001,
p. 48).
“Libertà significa che l’assegnazione delle persone (non più: delle famiglie)
alla società non è più determinata dalla struttura della società, ma si basa su
una combinazione di autoselezione e di eteroselezione. Uguaglianza significa che
non viene riconosciuto nessun altro principio di inclusione se non quelli che
definiscono lo stesso sistema di funzione. In altre parole: solo i sistemi di
funzione hanno il diritto, per ragioni intrasistemiche (e dunque razionali dal
loro punto di vista), di produrre disuguaglianze. Tutti i requisiti devono
essere presentati al sistema dal punto di vista dell’uguaglianza, cioè senza
struttura preesistente. Quindi si ha un’uguaglianza davanti al diritto, ad
eccezione delle differenze che sono fondate nel sistema del diritto stesso. La
funzione latente dei diritti umani non sta quindi solo nell’onorare e ratificare
valori standard presupposti dalla «natura umana». Essa sta piuttosto nel fatto
che nella società moderna, in linea di principio, non è più possibile prevedere
in quali contesti sociali si debba dire o fare qualcosa. Tale funzione sta anche
nel mantenere il futuro aperto contro tutte le predeterminazioni che potrebbero
sorgere da una categorizzazione o da una classificazione (ad esempio quella
superiore o inferiore) e soprattutto da una selezione di tipo politico.” (LUHMANN, 1997b, p. 1075-1076,
Traduzione nostra).
“Le istituzioni sono aspettative di comportamento generalizzate nella dimensione
temporale, materiale e sociale e, in quanto tali, formano la struttura dei
sistemi sociali” (LUHMANN, 2002, p.
45).
“è diritto che tratta la conformità del diritto rispetto al diritto” (DE GIORGI, 1993, p. 359-378).
Vale la pena notare che le Costituzioni sono generalmente divise in due parti: la
prima contenente diritti e valori fondamentali, mentre la seconda dedicata alla
“forma dello Stato” (relativa all’organizzazione della legislazione e del
governo e alla legittimazione del potere politico e della sovranità, ricondotta
al potere costituente del popolo). Non a caso la prima parte dei testi
costituzionali, a differenza della seconda, difficilmente viene modificata
successivamente.
“It has to establish fundamental rights that are not just an historically recent
invention, but are also the product of decisions, so contingent like any other
norm. This means that they are fundamental because they are not
necessary” (CORSI, 2016, p. 12). Luhmann
“shows that the concept has no universal or fundamental essence whatsoever, but
is entirely contingent” (MOELLER, 2008,
p. 130).
Autorappresentazione di cui si è già detto nel paragrafo 2.
“I valori “sono validi” in un modo di comunicazione attributivo. Si assume che
esista un consenso rispetto all’accertamento dei valori e che si possano usare
delle comprensioni anticipate. […] alla morte è preferita la vita, alla guerra
la pace, alla schiavitù la libertà, alla tirannia la democrazia, e così via. La
domanda “perché?” è omessa, perché nella comunicazione rendere esplicito
qualcosa è sempre interpretato in modo tale che l’accettare o il rifiutare il
significato imposto diventi una possibilità presa in considerazione. La semplice
insinuazione di ciò farebbe fallire la validità del valore e provocherebbe
incomprensione oppure, in ogni caso, verrebbe percepita come una provocazione.
[...] I valori, perciò, sono validi senza giustificazione - come mostra
l’osservazione di come realmente procede una comunicazione. Ma allora, non è
possibile chiedere giustificazione per i valori. In pratica i valori servono per
bloccare la riflessione.” (LUHMANN, 2013,
p. 44-45).
Su questo, cfr. Schwartz (2010).
Sulla genesi e lo sviluppo dei concetti di individuo e individualità, si vedano:
Luhmann (1995c, 1990c).
Cosa che può risultare di “cattivo gusto” [geschmacklos], nel
senso di Kant (1790). Il termine può
anche essere tradotto con “privo di gusto”: potrebbe proprio essere questa la
scelta più appropriata nel contesto del discorso di Luhmann, che sembra
riferirsi ad una mancanza di sensibilità, estetica più che
morale, di fronte alle violazioni.
Questione già affrontata in Luhmann
(1981).
Cfr. ad esempio (BARALDI; CORSI, 2000).
Corsivo nel testo originale.
Da qualche tempo si parla insistentemente di una “cultura dello scarto”: cfr.
Bauman (2005) e Francesco (Papa), 2013.
Il concetto di “livelli inviolati” è ripreso da Hofstadter (1984).
“El Estado de Bienestar ha tenido incidencia sobre todo en la jurisprudencia de
derechos fundamentales. Resulta difícil pasar por alto la vinculación de los
derechos fundamentales a la forma de los derechos subjetivos. ¿Quién sino el
titular de estos derechos puede decidir si goza o no de su derecho? Del programa
de derechos fundamentales se obtuvo un programa de valores que, entretanto,
sirvió principalmente para someter al legislador a los controles de la
jurisdicción constitucional. Con ello, las demarcaciones entre política y
judicatura se erosionan progresivamente. Así, estamos ante la presencia de una
antigua discusión sobre derecho constitucional y realidad constitucional que
dibuja y representa todas estas variaciones, pero no logra ir más allá.” (LUHMANN,2019, in linea).
Invece l’“esistenza di testi che proibiscono questi atti - o di persone che
determinano e ratificano questi testi oppure no - gioca un ruolo molto relativo
nella questione. Non si è educati a comparare testi e condotte legali per capire
da essi se qualcosa vìola il diritto o meno” (LUHMANN, 2013, p. 51).
Su questo, si veda in particolare Luhmann
(1997b).
Come fanno ad esempio Rodotà (2012), e
Zagrebelsky (2016).
H. Arendt con l’espressione “right to have rights” (“il diritto di avere
diritti”) intendeva la consapevolezza del diritto di appartenere a una comunità
politica (“to belong to some kind of organized community”) (ARENDT, 1966, p. 177).
Cfr. ad esempio (BLAU; FREZZO, 2011; BURAWOY, 2006; CONNELL, 1995; FREZZO,
2015; HYNES et al.,
2010; LEVY; SZNAIDER, 2006;
MORGAN; TURNER, 2009; O’BYRNE, 2012; SJOBERG; GILL; WILLIAMS, 2011; TURNER, 1993).
Cfr. anche anche: (VERSCHAEGEN, 2006,
2011).
I diritti fondamentali, scrive R. Prandini commentando Teubner, sono
“contro-istituzioni moderne poste dentro ai sottosistemi funzionali per
limitarne il potere. La loro funzione non è semplicemente quella di proteggere
l’individuo, bensì anche quella di mettere in sicurezza l’autonomia delle sfere
sociali, contro le tendenze espansive di altri sottosistemi.” (PRANDINI, 2013b, p. 240-241).
Per tutelare ad esempio “l’integrità dell’arte, della famiglia, della religione
contro tendenze totalizzanti della scienza, dei media o dell’economia” (TEUBNER, 2012, p. 169).
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